Lo studio della lingua cinese in Europa inizia alla fine del XVI secolo con i gesuiti Michele Ruggeri e Matteo Ricci che, a Macao, creano il primo sistema di trascrizione della lingua cinese e compilano il primo dizionario cinese-portoghese. E’ da attribuirsi sempre ad un gesuita, Martino Martini, la prima grammatica della lingua cinese, compilata nel XVII sec. Da qui in poi lo studio di tale lingua si diffuse in Italia e, a seguire, in Francia e in Gran Bretagna, nazioni con forti interessi economici e commerciali in Cina. L’inizio del XVII sec. è quindi caratterizzato da uno studio della lingua per fini pratici (tanto che viene definito “sinologia missionaria”), mentre alla fine del ‘600 in Europa prende campo la “sinologia intellettuale”, cioè lo studio del cinese per scopi teorici.
Il XIX secolo è stato caratterizzato da avvenimenti politici che hanno influenzato profondamente lo sviluppo della sinologia in Europa: il Regno Unito, tramite le numerose esplorazioni della Cina, ha fornito all’Occidente una presentazione parziale e spesso negativa del popolo cinese mentre la sinologia francese si dedicava quasi esclusivamente alla cultura, in particolare allo studio della letteratura. Fu solo alla fine dell’800 che cominciarono a nascere in Italia le prime cattedre di lingua cinese, poche tenute da professori che effettivamente lo sapevano parlare. Con l’avvento del fascismo e della Seconda Guerra Mondiale, tuttavia, in Italia si assistette all’arresto dell’insegnamento della materia, che riprese solo dopo il 1945, anno in cui in Italia si annoverava una sola persona, il gesuita Pasquale D’Elia, in grado di insegnare la lingua cinese. Fu affidato a lui il compito di formare i futuri docenti di cinese.
La prima università italiana ad aprirsi all’insegnamento della lingua cinese fu l’Università di Pavia, che nel 1806 affidò la cattedra all’italo-tedesco Giuseppe Hager, già arabista e sinologo piuttosto criticato.
Nel 1849 anche l’Università di Pisa dette il via ai corsi di lingua cinese con il prof. Giuseppe Bardelli. A causa del disinteresse pubblico per le materie che insegnava (lingua copta, sanscrito ed elementi di cinese) la cattedra fu però abolita nel 1851. Bardelli non si dette per vinto e continuò ad insegnare cinese a 3 studenti all’interno della Biblioteca Laurenziana di Firenze. Nel 1860 viene richiamato all’insegnamento presso l’Istituto di Studi Superiori di Firenze e nel ’62 viene di nuovo richiamato all’Università di Pisa. A lui successe Angelo De Gubernatis.
L’Istituto di Studi Superiori di Firenze inizio l’insegnamento del cinese, come abbiamo visto,nel 1960 con Bardelli, che venne sostituito da un suo allievo, Antelmo Severini, al quale venne affidata la cattedra in Lingue dell’Estremo Oriente. Severini fu il primo a dividere l’apprendimento del cinese in due livelli: elementare e superiore. Dal 1865, grazie all’inizio delle relazioni diplomatiche con la Cina e il Giappone, la scuola fiorentina ricevette cospicue sovvenzioni. Successore di Severini fu Carlo Puini, suo allievo che, a partire dagli anni ’70, ottiene la cattedra in Storia e Geografia dell’Asia Orientale. Con l’abbandono dell’Istituto da parte di Severini e l’ascesa dei corsi di lingue offerti a Napoli, la scuola fiorentina perse prestigio.
Dopo l’Unità d’Italia il Collegio dei Cinesi di Napoli (istituto dedicato alla formazione religiosa di giovani cinesi) si aprì all’insegnamento del cinese agli italiani. Nel 1868 cambiò nome in “Real Collegio Asiatico” e offrì corsi di teologia e latino, affiancati da cinese letterale e volgare, arabo, turco, persiano, hindi, francese e inglese. Fu inoltre il primo istituto in Italia ad utilizzare insegnanti madrelingua; tra i più noti Wang Zuocai 王佐才(Francesco Saverio Wang) e Guo Dongchen 郭栋臣 (Giuseppe Maria Guo). Quest’ultimo fu autore dei primi testi di insegnamento del cinese pubblicati in Italia:
– Sanjing 三经 (il Classico dei tre caratteri), con trascrizioni in latino del testo cinese
– Huaxue jinjing 华学进境 (Saggio di un corso di lingua cinese), estratti di classici confuciani.
Negli anni ’80 del XIX sec. il collegio venne trasformato in Università, i seminaristi furono costretti ad abbandonarlo, e con loro terminò l’insegnamento del cinese da parte di insegnanti madrelingua. Nel 1890 Lodovico Nocentini, ex allievo di Severini, dopo una non brillante esperienza come interprete in Cina, viene nominato professore di lingua cinese al Regio Istituto Orientale di Napoli e, nel 1899, fondò la Scuola Orientale dell’Università di Roma. Il suo posto venne preso da Guido Amedeo Vitale, altro interprete di cinese che aveva conseguito migliori risultati a Pechino. Lui è l’autore di “A first book for students of colloquial chinese”, molto apprezzato da Hu Shi 胡适. Alla sua morte la cattedra di insegnamento del cinese all’Orientale di Napoli viene soppressa. La storia dell’Insegnamento del cinese passa quindi il testimone a Roma.
L’inizio della didattica della lingua cinese a Roma risale al 1876, con la nomina di Carlo Valenziani a professore di Lingue e Letterature dell’Estremo Oriente, autodidatta nell’apprendimento sia del cinese sia del giapponese. Tale cattedra nel 1899 passò a Nocentini il quale, pochi anni dopo, fondò la “Rivista di Studi Orientali”. Suo successore fu Giovanni Vacca, ex allievo di Puini a Firenze, che insegnò dapprima Storia e Geografia dell’Asia orientale e, dal 1838 al 1841, Lingua, Letteratura e Storia cinese. Fu proprio Vacca che, assieme all’allora Ministro degli Esteri cinese Lu Zhengxiang, lavorò all’ideazione e alla creazione di un Istituto di Studi cinesi. L’idea, che venne inizialmente in parte finanziata dal governo cinese, venne poi modificata dal Ministero degli Esteri italiano, che mirava alla creazione di un istituto più ampio, che offrisse formazione su Asia, India, Giappone e in materia di traduzione, interpretariato e commercio estero. Nel 1932 venne quindi fondato l’IsMEO (oggi IsIAO), presso cui Vacca presiedeva ai corsi di Lingue e Culture Orientali. Altro illustre professore fu Giuseppe Tucci che, fino al 1964 insegnò religioni e Filosofie dell’India e dell’Estremo Oriente all’Università di Roma.
Durante il fascismo l’insegnamento della lingua cinese scomparve. Nel 1941 il gesuita Pasquale D’Elia ottenne la libera docenza in Lingua, Letteratura e Storia Cinese, fino al 1960.
Alla fine della seconda Guerra Mondiale D’Elia era l’unico docente di lingua cinese in Italia.